Amatriciana piatto semplice e sontuoso

Mentre tenta la rinascita, Amatrice si aggrappa ad una certezza: è la patria dell’amatriciana, piatto semplice, ma sontuoso. Nell’ultimo fine settimana di agosto nel piccolo borgo laziale c’è stata la tradizionale sagra.

Per la verità sull’origine del piatto non c’è certezza. Una versione attribuisce il merito ad Anna De Angelis che nel 1870, in questo piccolo paese della provincia di Rieti, preparò il piatto per le persone di passaggio.

Secondo il Gambero Rosso la prima ricetta è riportata da Ada Boni nel celebre “Il talismano della felicità” del 1927 e la preparazione rivela più di una differenza da quella attuale: il guanciale viene tritato (e non tagliato a cubetti), messo a soffriggere con strutto e cipolla a cui vengono aggiunti pomodori freschi spellati. Gli spaghetti conditi con questo sugo sono serviti con pecorino – oppure parmigiano, o un misto tra i due formaggi - e abbondante pepe. Comunque fa risalire la creazione agli inizi del secolo. Ma su Agrodolce Daniele De Sanctis scrive che la prima testimonianza scritta dell’uso del sugo all’amatriciana per condire la pasta la si trova nel manuale di cucina del cuoco romano Francesco Leonardi che la servì alla corte del Papa nell’aprile del 1816.

Sta di fatto che è nato un piatto superbo fatto da quattro elementi: pasta, pomodoro, pecorino e guanciale. Quest’ultimo è l’ingrediente che più di tutti lo connota e che si ottiene dalla guancia del maiale stagionata e insaporita con un mix di spezie.

Bandita la cipolla sebbene sia uno degli ingredienti più longevi della ricetta, presente già nella prima edizione della Boni e proposta da molti autori. Però non compare, ad esempio, nel “Disciplinare di produzione della salsa all’amatriciana”, approvato nel 2015 dal Comune di Amatrice, dove viene introdotto, però, il vino bianco per sfumare il guanciale – ignorato invece da quasi tutti gli autori precedenti – e la possibilità di utilizzare i pelati al posto del pomodoro fresco. Il peperoncino diventa facoltativo, mentre il pecorino, uno dei tre pilastri essenziali per la riuscita del piatto, diventa un “abbinamento consigliato”.

Nonostante il divieto assoluto di usare la cipolla c’è chi fa il “furbo”. Qualcuno insaporisce il fondo della padella, altri ne mettono un pezzo intero all’interno del sugo e poi lo tolgono a fine cottura. L’obiettivo è rendere meno aggressivo il pomodoro. Per quanto riguarda le dosi, prendendo la pasta come unità di misura il guanciale deve essere un quarto, il pecorino un quinto e il pomodoro quattro quinti. Fondamentale tirarla in padella e, a fuoco spento, aggiungere il pecorino.

La sua antenata è la gricia (o griscia), lo stesso piatto senza il pomodoro. Il nome Griscia proviene da un paesino a pochi chilometri da Amatrice, una frazione del comune di Accumoli, di nome Grisciano. La ricetta fu inventata dagli antichi pastori, che andavano per pascoli con strutto, pasta secca, guanciale, pepe nero e pecorino.


Davide Buratti
Giornalista in pensione, appassionato di enogastronomia. Nato e cresciuto in campagna, ha sempre mantenuto un forte legame con le sue tradizioni e con quei sapori che si irradiavano dal camino o dalla stufa a legna, quella di colore bianco che nelle sere invernali è stata il punto di riferimento per tante generazioni.
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