Il mondo della ristorazione, del vino e dell'ospitalità è un caleidoscopio in continua evoluzione, dove le abitudini dei consumatori cambiano a un ritmo che richiede attenzione e flessibilità.
Non si tratta più solo di servire un buon calice, ma di interpretare un'intera cultura del bere che sta mutando. La vera essenza del vino, fatta di piacere, moderazione e convivialità, oggi si confronta con esigenze inedite. Pensiamo a chi desidera godersi un bicchiere senza sentirsi “obbligato” a consumare quantità significative, a chi ha limiti di salute che impongono cautela, a chi si mette alla guida e con responsabilità non può bere alcol, o semplicemente a chi abbraccia stili di vita diversi, come l'astemìa per scelta etica o personale.
E qui, nella nostra amata Romagna, terra di profumi e sapori intensi, ci troviamo a un bivio affascinante: onorare la nostra gloriosa tradizione vinicola o aprirci con intelligenza a un modo nuovo e più inclusivo di intendere il vino?
Le nostre radici sono profonde e identitarie, intessute nel tessuto stesso della nostra terra. C'è il Sangiovese, che non è solo un vino, ma un racconto di collina, di sole e di fatica, con i suoi profumi di sottobosco e ciliegia che evocano le nostre vigne. C'è l'Albana, regina dorata, che con la sua eleganza e complessità ci porta in un viaggio tra note di miele e fiori bianchi, perfetta espressione della nostra enologia. E non dimentichiamo il Trebbiano, semplice ma schietto, il compagno ideale delle merende estive, un sorso di freschezza che sa di spensieratezza. Questi sono i vini veri, quelli che narrano le storie delle nostre colline e il sudore dei viticoltori che le curano con passione. Tuttavia, sta emergendo con forza una nuova proposta, a cui corrisponde una crescente richiesta: quella dei vini dealcolati.
Fino a pochi anni fa, l'idea stessa ci avrebbe fatto storcere il naso, relegandola a una nicchia di curiosità. Oggi, non possiamo più permetterci di ignorare questa strada, che si sta ampliando rapidamente e, per molti, rappresenta già un'opportunità tangibile, un segno di rispetto e un gesto di accoglienza verso una clientela sempre più diversificata.
Non fraintendetemi, la mia posizione sui vini analcolici non è di opposizione, anzi. Avendo avuto l'opportunità di viaggiare tanto in Paesi dove il consumo di alcol è vietato o fortemente limitato, come ad esempio in alcune aree del Medio Oriente o del Nord Africa, ho imparato ad apprezzare alternative create con cura e maestria.
Ho scoperto il valore di fermentati naturali complessi, di kombucha artigianali che esplodono di sapori inaspettati, di tè pregiati e di sciroppi speziati che offrono un'esperienza sensoriale altrettanto ricca. E se un vino senza alcol è ben fatto, se riesce a replicare almeno in parte l'eleganza e la struttura del suo omologo alcolico, può trovare pienamente il suo spazio. Il suo ruolo diventa cruciale quando permette a tutti – e intendo davvero a tutti, senza esclusioni – di sentirsi parte del brindisi, di celebrare un momento speciale senza compromessi o sensazioni di esclusione.
Certo, dobbiamo ammettere che per chi ha un palato allenato al vino vero, la maggior parte dei vini dealcolati fatica ancora a reggere il confronto. Manca spesso quel corpo avvolgente, quella complessità aromatica che si sviluppa nel tempo, quell'evoluzione nel bicchiere che ci spinge ad alzare il naso per cogliere come il profumo sia mutato dopo appena un paio di minuti. Ma la tecnologia, si sa, avanza a passi da gigante. È probabile che nel prossimo futuro assisteremo a un miglioramento significativo di questi prodotti, fino a raggiungere livelli di qualità impensabili oggi. Nel frattempo, però, credo ci sia un'altra strada, forse più vicina alla nostra sensibilità romagnola, che possiamo e dobbiamo percorrere.
Perché non pensare a una "dose indicativa consigliata"? Immaginate una sorta di porzione intelligente di vino – magari un solo bicchiere, attentamente selezionato e servito con la massima cura e attenzione – che possa essere proposta al ristorante come un gesto misurato, equilibrato e profondamente rispettoso delle regole e della salute del cliente.
Un calice, e solo quello. Senza la pressione di dover svuotare una bottiglia, senza il rischio di eccessi, senza la preoccupazione delle conseguenze. Sarebbe un piccolo lusso quotidiano, un'esperienza culturale e conviviale che valorizza la qualità sulla quantità.
Questa idea, tra l'altro, potrebbe anche rilanciare in modo significativo il valore del servizio al tavolo, il ruolo del sommelier nella narrazione di ogni etichetta e l'importanza di una scelta ragionata e consapevole. Si pensi a come un singolo calice di Sangiovese Riserva possa essere proposto con la sua storia, i suoi abbinamenti ideali, la sua provenienza precisa, elevando l'esperienza a un atto culturale più che a un semplice consumo. Oppure, un calice di Pagadebit, fresco e leggero, perfetto per un aperitivo consapevole, senza l'impegno di un pasto completo.
Se vogliamo, invece, affrontare seriamente il tema della responsabilità e della libertà di scelta, dobbiamo andare oltre il singolo bicchiere e offrire servizi aggiuntivi concreti. Troppo spesso si parla di "bere consapevole", ma nella pratica quanti locali mettono davvero a disposizione un etilometro funzionante, facile da usare e ben posizionato? Quanti propongono convenzioni reali e convenienti con compagnie di taxi o servizi di driver privati, garantendo un rientro sicuro ai propri clienti? Quanti si adoperano attivamente per aiutare i clienti a tornare a casa in totale sicurezza dopo una serata fuori?
Se desideriamo un futuro in cui si possa bere senza paura, in un clima di responsabilità condivisa, è fondamentale che il settore si attrezzi con soluzioni concrete. Penso a navette dedicate per eventi speciali, a trasporti notturni a prezzi “umani” che non gravino eccessivamente sul portafoglio dei giovani, a collaborazioni stabili con compagnie di Noleggio Con Conducente (NCC) o cooperative di taxi locali. Questo è il tipo di aiuto concreto che i clienti apprezzano, che fidelizza la clientela e che i ristoratori lungimiranti devono iniziare a offrire come parte integrante della loro proposta di valore. La creazione di un “ecosistema” del divertimento più sicuro e consapevole non è solo un dovere etico, ma anche un'opportunità di business.
E poi c'è lei, la nostra amata Romagna, che in tutto questo scenario ha un ruolo assolutamente fondamentale da giocare. Perché la Romagna non è solo una terra di vini eccellenti, ma è anche terra di relazioni umane autentiche, di accoglienza calorosa e di una innata propensione alla sperimentazione e all'innovazione. Non dobbiamo chiuderci in una visione nostalgica del passato.
Possiamo e dobbiamo accogliere i vini senza alcol, a patto che siano prodotti con dignità e che offrano un'esperienza di qualità. Ma, allo stesso tempo, non dobbiamo mai perdere il cuore pulsante della nostra cultura: il vino vero, quello autentico, che racconta storie di famiglia e di territorio, che accompagna una piadina squisita o un fumante piatto di cappelletti al ragù, che si beve con rispetto, con gioia, con un profondo senso della misura e della convivialità.
È in questo equilibrio tra tradizione e innovazione, tra rispetto per il passato e apertura al futuro, che la Romagna può continuare a brillare e a essere un punto di riferimento nel panorama enogastronomico italiano e internazionale.
Alla fine, il segreto di tutto è racchiuso in un concetto semplice ma potente: scegliere con intelligenza, bere con consapevolezza, e continuare a valorizzare uno dei simboli più belli e profondi del nostro Paese. Perché un buon bicchiere, quello giusto, nel momento giusto e con la compagnia giusta, non ha mai fatto male a nessuno. Anzi, ha il potere di ricordarci chi siamo, da dove veniamo e la ricchezza delle nostre tradizioni.
Parola di Ale
RICETTA:
Amici del buon bere e del buon mangiare! Oggi in Romagna, dritti dritti all'Azienda Agricola Il Satiro di Rimini, perché lì sanno come allevare il capretto come si deve. E noi, quel capretto, lo cuciniamo al forno coi piselli, una roba da urlo.
Capretto del Satiro coi Piselli (versione da urlo)
Dimentica le ricette da chef stellato, qui si va di pancia!
Massaggia il capretto con sale, pepe e un po' d'olio.
Profumiamo la teglia: In una teglia da forno, fai rosolare cipolla, carote, aglio e le erbe aromatiche.
Aggiungi il capretto e fallo dorare per bene da tutti i lati.
Sfuma con vino buono e metti in forno
copri con alluminio e inforna a 180°C per un'ora e mezza. Ogni tanto, dai un'occhiata e aggiungi brodo se serve.
Togli l'alluminio, aggiungi i piselli e continua a cuocere per altri 30-40 minuti, finché è tutto tenero e dorato.
Il vino che ti cambia la giornata: Centesimino "Montetarbato" di San Biagio Vecchio
E ora, l'asso nella manica, il compagno perfetto per questo capretto: il Centesimino "Montetarbato" della Cantina San Biagio Vecchio. Dimentica i soliti vini, qui siamo su un altro livello!
Questo Centesimino è una vera sorpresa: un rosso rubino che profuma di frutti rossi, spezie e a volte pure un tocco di rosa. È morbido, fresco, con tannini vellutati che accarezzano . Non ti aggredisce, ma ti avvolge, lasciandoti un sorriso soddisfatto.