La filiera e la biodiversità

Non è buono ciò che è buono ma è buono ciò che piace!”. Nulla di più vero, nulla di più sbagliato, perché il gusto si educa e spesso è abituato a sapori piatti e banali dettati dalle industrie alimentari.

Oggi parliamo di un tema a me caro: filiera corta e biodiversità.

È ormai evidente che il mercato stesso abbia capito l’importanza di una filiera corta, percorso verso la sostenibilità e supporto ad agricoltori e allevatori locali. Così sono nati negli ultimi tempi agriturismi solidali, fattorie didattiche e spacci aziendali. Ma tutto questo non basta.

Il salto va fatto nel settore primario: la ristorazione. Settore ancora forse troppo riluttante a certe considerazioni e in alcuni momenti “schiavo” delle complesse dinamiche che lo caratterizzano.

Oggi il mercato spesso propone standard e “omologazione”; invece è nell'essere alla ricerca che fa la differenza.

Un tempo, quando cominciai il mio percorso lavorativo di oste, una chiacchierata con un vecchio collega mi illuminò. Questo mi disse: “Vedi Ale, la nostra è una missione non un semplice lavoro. Dobbiamo educare i palati e far capire la differenza tra l'uno e l’altro". E da allora per me così fu.

Ricerca, selezione e sperimentazione sono alla base delle cucine dei miei locali. A tratti qualcuno potrebbe pensare che un piatto sia banale o semplice ma cosa c’è di più bello, buono e sano che gustare un alimento a km zero, nel momento massimo del suo “gusto” di maturazione conoscendone chi lo ha prodotto di persona. È un privilegio grandissimo.

Ma torniamo al concetto espresso inizialmente. L’industria alimentare “crea” cibo atto a migliorare la resa del prodotto, l’utilizzo stesso di questo e tanti aspetti che non sto ad elencare. Invece, il prodotto locale, spesso, va trattato e preparato all’utilizzo, a volte può essere quello che costa un po' di più, nonostante la filiera corta, ma una cosa è sicura: stiamo degustando qualcosa che altrove non esiste e che domani sarà diverso e dopo domani lo sarà ancora perchè unico nel suo essere per tanti fattori (terreno, esposizione, la mano di chi lo cura…).

Per questo noi ristoratori abbiamo il dovere morale di promuoverne l’utilizzo.

Facciamo un esempio e veniamo alla ricetta che ho preparato per voi: formaggio primo sale realizzato con sale dolce di Cervia e caglio vegetale.

Trovate un latte vaccino intero, non pastorizzato, magari da un buon amico delle nostre colline.

Versatelo in una pentola e portatelo a 42 gradi C, in maniera graduale, spegnete e aggiungete lo yogurt intero, mescolate e unite il Sale dolce di Cervia fino a scioglierlo bene.

Raffreddate fino a 38 gradi e aggiungete il caglio vegetale, mescolate e coprite.

Trascorsi circa 45 minuti vedrete il composto rappreso, tagliate la cagliata facendone dei dadi di circa 4 cm, attendete e ripetete riducendo i dadi a 2 cm.

Raccogliete con le fuscelle e aiutatevi con le mani pressando ed eliminando il siero in eccesso. Una volta riempite le fuscelle attendete altri 15 minuti. Quindi capovolgetele il formaggio primo sale e rimettetelo nella fuscella e ripetete fino a consistenza giusta

Mettete il primo sale in frigo almeno 3 ore e servitelo.

A tavola guarnitelo come più vi piace, come se fosse una piccola tavolozza, sale, olio buono, frutta secca e marmellate

Non dimentichiamolo realizzare questa ricetta e mangiare questo formaggio home made è un privilegio.

Impariamo a mangiare e a chiedere l’origine dei prodotti che ci servono o che ci vendono. Perché l’alimentazione è una cosa seria ed a volte occorre fare un passo indietro, riflettere e fare la cosa giusta per noi e per il nostro territorio


Ale Fanelli
Vulcanico ristoratore, sperimentatore dei migliori vini e prodotti dell'Emilia Romagna
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