Una Vision sulla Romagna: intervista a Nannetti e Tersi

Sono stati scelti in 23 da tutta Italia, tutti nomi di primo piano del mondo del vino. Obiettivo: rispondere alle sfide del settore nel prossimo decennio. Il documento approvato si chiama Vision 20/30.

Al dibattito hanno dato il loro apporto anche due romagnoli (gli unici): Marco Nannetti presidente di uno dei più grandi gruppi cooperativi, Terre Cevico; Lorenzo Tersi fondatore di LT Wine, esperto del settore con incarichi nel Consorzio Chianti, Masi, e altre aziende. A loro abbiamo chiesto le sfide del vino della Romagna nei prossimi anni.

Vision 20/30: qual è il principale messaggio emerso da questi Stati Generali del vino?
Marco Nannetti: Prima di tutto che il vino genera ancora molto interesse. E questo su molti fronti, a partire da quello economico per passare da quello ambientale e culturale. Probabilmente non esiste un altro prodotto alimentare in grado di generare una gamma così ampia e diversificata di interessi e attenzioni tra le persone. Tra i molti argomenti, però, abbiamo riscontrato un minimo denominatore comune: nei territori dove prospera la viticoltura è maggiore il senso di benessere economico, armonia sociale e cura dell’ambiente e del territorio. Infine nella discussione è anche emerso come, a livello globale, il Covid non abbia scalfito l’ancestrale rapporto che lega l’uomo al vino. Semmai, quello che emerge, è una sempre più rapida polarizzazione tra consumi premium ed entry level.
Lorenzo Tersi: Che il vino è un asset fondamentale per l’economia del Paese. Prima di tutto perché rappresenta la prima voce dell’export agroalimentare con oltre 7 miliardi di euro. Ma il vino non ha solo un mero valore economico, in quanto rappresenta cultura, territorio, ambiente, sostenibilità. Sono tutti temi centrali non solo per l’enologia ma più in generale per il futuro del nostro Paese. Il documento presentato a Verona, Vision 20/30, indica un orizzonte di dibattito nel quale andare, le priorità su cui scommettere, tant’è che pone questioni indispensabili come la digitalizzazione, competenze e comunicazione.

Il vino nell'epoca della pandemia: l'Italia cresce nell'export, ma rimane un problema di prezzi. Cambierà qualcosa nei prossimi anni sui mercati esteri?
Nannetti: L’Italia cresce bene nell’export in termini sia di fatturato che di volumi. È altrettanto vero che siamo ancora forti esportatori di vino Igt o generico e questo determina un abbassamento del prezzo medio, soprattutto nei confronti della Francia. Però negli ultimi dieci anni abbiamo recuperato terreno sul fronte del valore percepito ed il vino italiano è un vero drive per tutto l’export Made in Italy. Dobbiamo continuare ed insistere con le attività promozionali, radicando ulteriormente il legame storico con i territori di origine e dobbiamo accelerare le collaborazioni con le attività turistiche perché, al netto del Covid, il patrimonio storico ambientale (e culinario) del Belpaese è il miglior biglietto da visita per i nostri vini.
Tersi: Tanto è cambiato (e ancora cambierà) nel sistema vitivinicolo. Ma al di là di tanti fattori negativi, sono dell’idea che il sistema abbia davanti una grande opportunità per ripensare il prodotto, a partire da un riposizionamento di quelli che vengono chiamati vini di ingresso, quelli del quotidiano. Oggi non è più possibile ragionare solo in termini di canali di vendita, gli schemi sono saltati. Prima di tutto bisogna chiedersi dove va il consumatore target. E questo attraverso strategie e analisi di medio-lungo periodo. Per essere più chiari: non dobbiamo abbagliarci dalla recente crescita dell’export del 15%, sappiamo tutti che questo è dovuto a un eccezionale momento storico. È un discorso di riposizionamento di sistema che deve essere fatto per ridare valore al produttore.

Mercati esteri: qual è lo stato di salute della Romagna?
Nannetti: La Romagna cresce in modo significativo all’estero e sta aumentando il prezzo medio per ogni bottiglia. Stiamo lavorando molto per migliorare il “percepito” dei nostri vini attraverso una narrazione coerente e dettagliata delle nostre zone. Serve un racconto congruo con la qualità e peculiarità dei vini romagnoli, oramai alla pari di ogni miglior viticoltura nazionale. Dobbiamo, probabilmente, credere di più in noi stessi e non preoccuparsi di dover necessariamente assomigliare a qualcun altro. I nostri vini, dal Sangiovese all’Albana, dal Trebbiano al Pagadebit e Pignoletto, sono unici nel loro genere e si abbinano perfettamente con la calorosa cucina romagnola, molto apprezzata all’estero. Io sono fiducioso e credo che la Romagna, anche attraverso al proprio Consorzio di Tutela, possa ambire a posizionamenti di assoluto prestigio in tutto il mondo.
Tersi: la Romagna paga storicamente una minore notorietà rispetto ad altre zone italiane, tuttavia negli ultimi anni ha decisamente cambiato passo. Non solo ha intrapreso la strada dell’innalzamento dell’asticella della qualità, ma ne ha fatto (e ne sta facendo) anche un racconto. Una storia che è solo all’inizio di un cammino e che vede nella Doc del Sangiovese il suo elemento di punta con i suoi 11milioni di bottiglie. La sfida è puntare sul valore, in una strada tracciata. Ma attenzione a non rimanere a metà del percorso, sarebbe un errore pagato a caro prezzo negli anni a venire.

Il documento approvato evidenzia un problema di dimensioni delle aziende: tocca anche la Romagna?
Nannetti: Il tema della dimensione aziendale tocca orizzontalmente tutta l’Italia. Ma non bisogna però pensare che la grande azienda possa penalizzare la piccola impresa vitivinicola. La questione vera è che se il piccolo produttore vuole vendere in Cina o negli Stati Uniti deve fare fronte ad investimenti commerciali e organizzativi spesso sovradimensionati rispetto alla dimensione aziendale stessa. Viceversa le piccole aziende possono essere un driver straordinario di valorizzazione in patria delle produzioni enologiche di nicchia come, ad esempio, le MGA del Romagna DOC Sangiovese. Quindi quello che emerge è la necessità di scegliere su quale fronte si vuole operare; o locale, lavorando su Horeca e vendita diretta o di export allargando la propria attività con collaborazioni e sistemi di rete che permettano di gestire le complessità conseguenti.
Tersi: il nostro Paese è un unicum a livello mondiale per la sua biodiversità, vista come opportunità, tuttavia ha il grande limite delle dimensioni. Qualche dato è indicativo a riguardo: la dimensione media di un’azienda vitivinicola in Australia è di 57 ettari, 17 in Francia, numero che si riduce a 7 in Italia. La Romagna è parte di questo contesto. È evidente che questo può rappresentare un problema soprattutto nei mercati internazionali che richiedono una struttura organizzativa di sostanza. Dico sempre che dove c’è vigna c’è civiltà, ma è fondamentale saper costruire qualcosa attorno al vigneto.

La priorità per il vino della Romagna nei prossimi anni?
Nannetti: Alzare i prezzi e vendere sempre meno vino generico come sfuso. Sembrano due argomenti semplici ma in realtà richiedono tempo, investimenti, lucidità imprenditoriale e coesione territoriale tra aziende. Soprattutto per i territori di collina è essenziale alzare in breve tempo i valori delle PLV in quanto le rese ad ettaro sono sempre più basse e le estati sempre più torride mettono a repentaglio l’equilibrio vegetativo. Come detto prima il connubio eno-culturale tra il vino ed il flusso turistico della nostra Regione è un asset straordinario di crescita su cui lavorare. La pianura deve, invece, essere sempre meno dipendente dalle logiche del vino bianco collocato come commodities in quanto altri produttori come la Spagna si stanno dimostrando molto aggressivi sul mercato. Serve una maggior convinzione nei propri mezzi e servono investimenti per collocare più vino imbottigliato, con propri marchi e quindi con maggior valor aggiunto e, possibilmente, a Denominazione di Origine. I nostri vini di pianura meritano una collocazione maggiormente valoriale perché anche la loro qualità intrinseca ha raggiunto livelli davvero importanti.
Tersi: Sono certo che la Romagna nei prossimi anni vivrà una stagione da protagonista, a condizione che sappia creare una rete con l’economia del turismo e dell’ospitalità. Non esiste che l’offerta dell’ospitalità del mare non abbia in carta vini del suo territorio. In Francia non sarebbe concepibile. La ristorazione ne sta prendendo atto, è giunto il momento che lo facciano le strutture ricettive. Deve essere chiaro che se stai in Romagna, mangi Romagna, respiri e bevi Romagna. A questo va aggiunta una maggiore compenetrazione tra entroterra, vigna e mare, con l’esperienza dei borghi sempre più richiesta dal turismo internazionale. Un ruolo nella conoscenza e diffusione del vino lo svolgono i sommelier Ais, coloro che portano e raccontano il vino in tavola, veri e propri mediatori tra il produttore e il consumatore. In definitiva penso che la Romagna debba iniziare a guardare la luna e non la punta dei suoi piedi, e imporre la sua identità enologica che ruota intorno a Sangiovese, Albana secca e importanti vigneti bianchi come trebbiano e pignoletto.


Filippo Fabbri
Calciatore mancato, giornalista per passione. Una stella polare, il motto del grande Gianni Brera: “Prima di scrivere un articolo bevi un bicchier di vino”. Perchè come diceva Baudelaire "bisogna diffidare degli astemi". Contatti: filfabbri@gmail.com
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