Cracco racconta la Romagna del vino e del ‘bel vivere’

"Sei lì e hai l’infinito davanti a te… Giù, lontano, una strisciolina azzurra, il mare. Come si fa a dire di no?”. Così con una pennellata di semplicità Carlo Cracco racconta l’emozione provata insieme alla moglie Rosa Fanti davanti a quella che poi sarebbe diventata la loro tenuta, subito ribattezzata ‘Vistamare’. Sedici ettari, di cui sette a vigna, sulle colline di Romagna, poco sopra il borgo di Santarcangelo.

È un territorio stupendo, ci siamo innamorati”, continua Cracco che si autodefinisce ‘cittadino del mondo’ ma immediatamente mette in evidenza i valori della ‘riscoperta’. “Spesso – dice – siamo portati a guardare solo i luoghi glamour e tutto il resto viene abbandonato perché non è figo, non è accessibile. Quello che mi piace, invece, è cercare di riscoprire e valorizzare i posti più piccoli, quelli che già conosciamo. La riscoperta dei luoghi noti, delle cose semplici l’abbiamo imparata durante la pandemia. E qui il territorio è stupendo”.

In Romagna Cracco ha deciso di cominciare una nuova sfida che parte dalla terra. Dai prodotti, dal vino, dalla sostenibilità. In un luogo che la moglie Rosa ben conosce visto che sulle colline di Santarcangelo ci è nata.

Il fatto di aver aperto un’azienda agricola – spiega lo chef – anche se poi di fatto io sono la parte meno importante dell’impresa, perché è Rosa che fa tutto, mi ha permesso di realizzare un sogno, quello di fare il vino”.

Cracco la sua scelta di produrre vino in Romagna e agganciarsi in questa impresa a un enologo di fama come D’Attoma dà sicuramente lustro a questo territorio… Qual è la sua opinione sulla Romagna del vino?
“Noi qui il vino l’abbiamo trovato. Questo vino, questa vigna. Ed è stato uno dei motivi che ci ha spinto ad acquistare la tenuta. Io credo tantissimo nei vini di territorio come questi di Romagna. C’è una grande richiesta di prodotti un po’ diversi. Non i soliti vitigni, i soliti nomi. C’è un grandissimo margine di crescita. Attraverso questi vini possiamo individuare un percorso originale e noi lo stiamo facendo con D’Attoma anche perché lui già lavorava in Romagna. Con lui possiamo fare il salto di qualità. E soprattutto ha condiviso il nostro progetto di puntare sulla ‘differenza’. Cioè coltivare solo vitigni autoctoni che sono lì da sempre. A Vistamare abbiamo vigne vecchie di questo Trebbiano della fiamma rossa che fino a 30 anni fa era diffusissimo in Romagna, ma non andava di moda e nessuno lo beveva… Così tutti lo hanno espiantato. Noi lo abbiamo trovato, ne abbiamo quasi due ettari, ma non sapevamo come trattarlo. Allora siamo andati qua a due passi, a Roncofreddo, da Renato Brancaleoni, grande affinatore di formaggi, che ci ha raccontato di quel vino, il vino della ‘fiamma rossa’, il vecchio trebbiano della tradizione e del potenziale delle vigne vecchie. Di li siamo partiti a sviluppare sia il progetto del trebbiano romagnolo che degli altri autoctoni.

Su quali vitigni avete deciso di puntare e come li producete?
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Nelle vigne della tenuta c’è un po’ di Rebola, un po’ di Malvasia di Candia e di Pagadebit. C’è l’Albana, il Sangiovese e anche un po’ di Cabernet perché i vecchi contadini amavano piantare parecchi vitigni per soddisfare un po’ tutti… E in attesa della cantina, che sarà il nostro prossimo progetto, ci siamo appoggiati a San Patrignano per i rossi (il Colle Giove, ndr), perché con la famiglia Moratti ci conosciamo e abbiamo collaborato tante volte e anche D’Attoma lavora con loro, mentre per i bianchi abbiamo scelto una piccola realtà, la cantina San Valentino, sulle colline di Rimini".

Non solo vino. I prodotti di Vistamare sono quelli che poi lei utilizza nelle ricette dei suoi ristoranti. Quanto è importante per uno chef il controllo degli ingredienti che usa in cucina, sapere da dove vengono e come sono prodotti? E quanto è importante il legame con il territorio?
"E' il futuro di questo Paese. La terra è la cosa più importante che abbiamo. E non lo scopriamo adesso. Ma la terra è bassa per cui bisogna piegarsi per sfruttarla e la gente fa fatica a piegarsi. E invece piegarsi, lavorare e ascoltare la terra, fa bene alla mente e permette di avere il controllo della filiera. Per il ristorante è un grande valore aggiunto. Permette di fare delle scelte, di rincorrere la qualità. Sono io che produco e seleziono. Prima compravo un sacco di quintali di frutta di verdura di erbe… Ma se le coltivo io oltre a creare una microeconomia ho anche il controllo totale e posso fare delle scelte. Non ho bisogno di cambiare fornitore. Il futuro della ristorazione ma soprattutto della campagna è quello di riuscire ad instaurare un canale continuativo di comunicazione fra il ristorante e l’azienda agricola, di realizzare la filiera corta. Per cucinare ho bisogno di olio e qui a Vistamare ci sono 500 ulivi e l’olio che producono è quello di un territorio vocato. Con la frutta è uguale, abbiamo trovato questi sei ettari dove ci sono pesche, ciliegie, albicocche, cachi, mele, pere e susine. Subito sembrava un problema, sei ettari è tanta roba… Poi un po’ alla volta abbiamo prodotto i succhi, le marmellate poi la frutta fresca che usiamo anche sulla pasticceria".

Questo ha a che fare con la lotta agli sprechi alimentari e la sostenibilità di cui lei è sempre stato un sostenitore…
"Certamente. Stiamo cercando di non sprecare niente. Tutto quello che viene prodotto dall’azienda agricola lo usiamo. Abbiamo ricavato un orto di quasi un ettaro per il fabbisogno dei ristoranti, c’è il frutteto, gli ulivi, un piccolo lago e gli animali verranno… abbiamo anche piantato semi antichi e inaugurato un progetto di permacultura, cioè un ambiente sostenibile e autoalimentato con la lotta integrata attraverso le piante. E questo ci permettenella nostra nuova Tenuta di affrancarci completamente dalla chimica".

Cracco, da qualche mese è tornato in tv con Dinner Club, un food travelogue sui generis, in cui si parla di cibo e di territorio, ma che dà largo spazio alla convivialità, grazie anche al livello dei ‘commensali’ come Diego Abatantuono, Luciana Littizzetto, Valerio Mastandrea, Sabrina Ferilli, Pier Francesco Favino, Fabio De Luigi. è soddisfatto di questa nuova esperienza per certi versi molto diversa da Masterchef?
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Il tema è il viaggio… Un altro modo di raccontare il cibo e la riscoperta dei legami territoriali. Abbiamo cercato di valorizzare i territori più piccoli, quelli lontani dalle autostrade. In una delle prime puntate siamo andati sul Po. è un luogo magico, ricco di grandi storie, come quella del Re del Po, l’eremita che vive nel paese abbandonato… Fabio De Luigi che è un romagnolo di origine non vi era mai stato. Questo ci fa capire quanto poco conosciamo il nostro territorio. Io che sono veneto conoscevo quei luoghi. E insieme abbiamo riscoperto la magia di un territorio che non mi stanco di ripetere dobbiamo cercare qua, sotto casa".

Cosa pensa della Romagna del cibo? E di quella dell’accoglienza? Quanto il cibo e il vino possono essere testimonial del nostro territorio?
"Io penso che la Romagna abbia ampi margini si crescita. In altre regioni siamo già all’eccesso non si sa più cosa fare e cosa trovare per comunicare. Qui in Romagna ci sono ancora delle praterie da cavalcare e il margine di crescita rispetto ad altri territori è molto più alto sia nel vino che nel cibo. Qui c’è ancora il gusto della scoperta, della ricerca di un’identità. Il tutto aiutato da un patrimonio consolidato che è la proverbiale accoglienza sulla costa, da cui scoprire lo splendido entroterra e i suoi prodotti. Ci sono i motori che la rendono famosa nel mondo. E soprattutto c’è uno stile di vita molto più aperto e simpatico. Qui è davvero un bel vivere!"

Pubblicato su MilanoMarittimaLife winter 2021


Maurizio Magni
Giornalista e sommelier è responsabile della guida Emilia Romagna da Bere. A tavola e nella vita è sostenitore del libero arbitrio e del paradosso francese.
magni@agenziaprimapagina.it

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