Il vigneto San Marino fra l’Adriatico e il Titano

Centoventi ettari di vigna collocati fra i 50 e i 400 metri di altitudine, con il mare della costa adriatica a venti chilometri e la stessa distanza per raggiungere i millequattrocento metri del monte Carpegna, ai confini tra la Romagna e le Marche. Un terreno prevalentemente calcareo argilloso e calcareo arenaceo, con estati calde, inverni freschi e una buona escursione termica, soprattutto nelle parti alte del vigneto. Tutto questo contribuisce a fare dei vini di San Marino prodotti originali, nonostante l’inevitabile imparentamento con quelli della Romagna riminese. Un ‘imparentamento enologico’ che si riflette e giustifica l’inserimento, dal 2018, di alcuni vini sammarinesi all’interno di Emilia Romagna da Bere e da Mangiare, la guida dell’Ais ai vini dell’Emilia-Romagna.

A raccontare la micro enologia di San Marino è Michele Margotti, enologo e direttore del Consorzio Vini Tipici di San Marino che dal 1979 tutela la qualità dell’enologia del Titano e dei suoi 100 soci conferitori.

Margotti come si orienta la vostra produzione?
Da anni spingiamo soprattutto sugli autoctoni che a San Marino possono contare su cloni esclusivi. E ciò conferisce originalità ai nostri vini. Fra i rossi, che rappresentano circa il 60% della produzione enologica Sammarinese, primeggia il sangiovese che integriamo con una produzione di internazionali di taglio bordolese per accontentare alcune nicchie di mercato estero che siamo riusciti ad aprire.

E fra i vitigni a bacca bianca?
Le produzioni maggiori di bianchi si concentrano sul Biancale, simile al trebbiano toscano, e sulla Ribolla di San Marino, da grechetto gentile, parente stretta della Rebola riminese e del Pignoletto dei Colli Bolognesi. E poi coccoliamo la nostra nicchia, il moscato di San Marino nelle versioni che vanno dal vivace al passito. Nell’insieme abbiamo una varietà enologica e di territorio che ci impone un tempo lungo di vendemmia, dai primi di agosto per le uve bianche da spumantizzare, fino a tutto ottobre.

Come differenziate la vostra produzione?
Le 600 mila le bottiglie a denominazione di origine che produciamo, per un totale di 20 referenze, sono divise fra i ‘classici’ le ‘riserve’ e i vini dedicati alla ristorazione.

E i mercati di riferimento?
Una buona parte dei nostri vini hanno una diffusione di prossimità, con clienti horeca sulla costa del Riminese e naturalmente sul Titano. Negli anni però abbiamo maturato una vocazione all’export, soprattutto verso i mercati di Germania Svizzera, Francia e Slovacchia, in Europa, Giappone e Stati Uniti per quanto riguarda il resto del mondo.


Maurizio Magni
Giornalista e sommelier è responsabile della guida Emilia Romagna da Bere. A tavola e nella vita è sostenitore del libero arbitrio e del paradosso francese.
magni@agenziaprimapagina.it

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