Saluma, pesce povero in crudità a regola d'arte

Quando si parla di ristorazione a Cesenatico si citano i soliti noti. I due stellati (Buca e Magnolia), diventati uno per trasferimento, e il locale di tendenza (Marè). Sul resto da tempo vige una coltre di silenzio da parte della critica nazionale incapace (o pigra?) nel saper guardare oltre al già saputo.

Eppure il panorama è bello e variegato con proposte di livello che meritano di essere raccontate per l’originalità della cucina e le storie che portano in dote (per citare alcuni locali: Tracina, Remare, da Beppe…).

In questa speciale angolazione un posto che merita di essere citato è senza dubbio la Saluma, in via dei Mille, a due passi dal grattacielo. Qualche anno fa era salita alle cronache nazionali per la partecipazione a ‘Quattro ristoranti’ di Alessandro Borghese. La location allora era l’attuale Circolino, sicuramente fuori dagli schemi, più nell’occhio come struttura sportiva (i campi da tennis) anziché per la cucina. Che il luogo fosse poco adatto era innegabile, eppure già in quel tempo portava in nuce tutto quel genius loci che ancora oggi è il tratto distintivo della cucina dell’estroso Roberto Della Pasqua: assenza di un menù, perché si mangia ciò che pescheria e stagioni offrono, e un’abilità magistrale nella valorizzazione del pesce povero in versione crudità. Se c’è un posto in Riviera tra i primi a fregiarsi del primato a impatto minimo sul pesce è proprio Della Pasqua. La sua capacità nel saper esaltare i sapori naturali del pescato mostra una capacità di ‘maneggio’ della materia prima come pochi riescono a fare, a testimonianza di una sicurezza che prima di tutto è conoscenza. E la conferma che anche col pesce cosiddetto povero (cefalo, alici, triglia…) si possono fare cene maiuscole.

La riprova arriva dall’esperienza di circa un mese in questo locale (c’ero stato una decina di anni fa). La prima ‘anomalia’ è al telefono: ‘Ok, il tavolo c’è, ma noi proponiamo un percorso’. Dunque, se ti va bene prendi, sennò lasci. Ovviamente prendo, e mi va decisamente bene. Perché l’esperienza si rivela decisamente Maiuscola.

Il percorso inizia con un Carpaccio di cefalo con scorza d'arancio e vinegrette agli agrumi, a seguire in serie: Triglia semi marinata, Alici marinate, Cannelli gratinati. Il tour prosegue con Ricotta a cucchiaio con acciughe cantanabrico, Vongole con maionese di mare. Il primo è un Risotto con i moscardini, dopodiché si approda a un fritto in giusta quantità fatto a regola d’arte. La chiusura è una panna cotta, che poteva anche non starci per il buon sapore di pesce che si aveva in bocca.

La cena è stata accompagnata da Tre Bien della Cantina di Cesena, un Trebbiano spumantizzato che ha confermato, se ce ne fosse ancora bisogno, le potenzialità (troppo spesso inespresse) del vitigno a bacca bianca più diffuso in Romagna.


Filippo Fabbri
Calciatore mancato, giornalista per passione. Una stella polare, il motto del grande Gianni Brera: “Prima di scrivere un articolo bevi un bicchier di vino”. Perchè come diceva Baudelaire "bisogna diffidare degli astemi". Contatti: filfabbri@gmail.com
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