C’è Lambrusco e Lambrusco

Molto spesso quando si parla di Lambrusco si pensa ad un vino semplice, frizzante e con poca personalità, si tende a banalizzarlo, addirittura a non farlo rientrare nella cerchia dei grandi vini, quelli che vale la pena di avere sempre in cantina.

Eppure il Lambrusco è uno dei prodotti più antichi della nostra storia enologica, il suo nome deriva da Labrusca, il nome che i Romani davano alle viti selvatiche, che crescevano spontaneamente lunghi i confini dei campi e dalle quali ricavavano un vino che spesso lasciavano rifermentare nelle anfore dell’epoca.

Già allora usavano una sorta di controllo della temperatura ante litteram, conservando le anfore col vino interrate oppure immerse in acqua gelata, per poi riportarle a temperatura ambiente ed ottenere quella rifermentazione che avrebbe dato il caratteristico gusto frizzante.

La vite Labrusca trovò sin da allora un perfetto habitat nella provincia modenese, come testimoniano i ritrovamenti di numerosi reperti archeologici, facendo diventare quelle zone il fulcro della produzione di Lambrusco. Carpi in particolare divenne il centro di produzione e di commercializzazione del Lambrusco, da qui partivano vini per tutti i territori conosciuti, compresa quella Francia che sarebbe poi diventata maestra di enologia per tutto il mondo.

Venendo poi a tempi più recenti, restano ancora nella memoria popolare del ‘900 i sistemi di produzione a “vite maritata”, le cosiddette alberate dove come sostegno per i filari si usavano alberi al posto dei pali, in modo da poter utilizzare le foglie ed i rami come nutrimento per gli animali e legna da ardere per il forno del pane.

Nello stesso periodo il Lambrusco rappresentava una sorta di nutrimento per i braccianti che lavoravano nelle campagne, ad ognuno di loro ne veniva fornita una bottiglia che, al pari del pane, costituiva un importante mezzo di sussistenza.

Verso la fine del ‘900 abbiamo assistito infine a quella che si potrebbe chiamare l’industrializzazione del Lambrusco, con grandi produzioni di vino rifermentato in autoclave, con gusto semidolciastro ed a bassa gradazione rivolte soprattutto al pubblico americano, che se da un lato ha permesso la fortuna di alcuni grandi produttori, dall’altro ha contribuito a creare la fama più recente e non troppo lusinghiera del lambrusco.

Per fortuna però alcuni piccoli produttori e per la verità anche alcuni dei grandi, hanno mantenuto delle nicchie anche consistenti di produzioni di alta qualità, che col tempo sono state riconosciute e stanno contribuendo alla rinascita del Lambrusco.

Oggi si possono trovare facilmente in commercio Lambruschi ottenuti con Metodo Classico, la classica rifermentazione in bottiglia con sboccatura e ricolmatura finale, di grande qualità, mentre alcuni produttori hanno rispolverato il cosiddetto Metodo Ancestrale, che consiste nella rifermentazione in bottiglia senza sboccatura, riportando così in auge quello che era il sistema più diffuso ed utilizzato dai nostri nonni.

Infine va analizzata la produzione delle varie tipologie di Lambrusco, il territorio infatti ha permesso di selezionare e sviluppare diverse tipologie di questo vitigno, che si possono riassumere in quelle che seguono.

Lambrusco di Sorbara
Prende il nome dall’omonimo paese in Provincia di Modena e potremmo considerarlo il re della pianura. Ha un colore tenue, tendente al rosato, con profumi che ricordano le fragoline di bosco ed i petali di rosa. Delicato di struttura ma con un’acidità ficcante, tagliente, chi ama i vini verticali non potrà che apprezzare questo tipo di Lambrusco che spesso viene utilizzato per produrre spumanti metodo classico.

Lambrusco Grasparossa
Tipico delle colline di Castelvetro, è un Lambrusco agli antipodi rispetto al Sorbara, scuro di colore, pieno, tannico, con freschezza integrata, rotondo e fruttato, i profumi ricordano prugne e ciliegie. Viene prodotto anche in versioni abboccate.

Lambrusco Salamino
Il Salamino è la perfetta sintesi dei due fratelli maggiori. Ha tannini precisi ma meno intensi del Grasparossa, l’acidità è garbata, i profumi sono simili a quelli del Sorbara, ma si potrebbero definire di maggiore eleganza. Può rappresentare una buona base di partenza per conoscere meglio il Lambrusco, per poi spostarsi sulle altre tipologie.

Lambrusco Maestri
Tipico di Parma, potrebbe rappresentare il carattere burbero del lambrusco, tannico, acido, molto fruttato, molto scuro. Sicuramente le sue caratteristiche non gli farebbero vincere il campionato dell’eleganza, ma abbinato a cotechino e ad altre prelibatezze del territorio è di sicuro favoloso.

Lambrusco Marani
Altro esempio di vino che si sposa alla perfezione con la cucina del territorio. Tipico di Reggio Emilia e Mantova, è scuro di colore, acido e con una struttura rocciosa. Anche in questo caso non vanno ricercate finezza e leggiadria, ma come compagno della tavola è praticamente insuperabile.


Vitaliano Marchi
Sommelier professionista Ais, è relatore e degustatore per le guide “Emilia Romagna da bere e da mangiare” e “Vitae”. È co-autore di “Albana, una storia di Romagna”, il primo libro interamente dedicato all’esclusivo vitigno romagnolo.
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