Territorio

Forlivese

Perdersi nelle valli, nei calanchi e nei piccoli paesi delle colline forlivesi vuol dire ritrovare panorami, prodotti, piatti e valori ormai dimenticati. Le colline di Bagnolo e Monte Poggiolo, in quel di Castrocaro, da sempre vocate al vino ma anche all’olivo, Dovadola, terra di tartufo, agnellone e castrato, Modigliana con il panforte, dolce storico premiato già alle esposizioni di Parigi e di Milano nel 1906 e il Pane di Ramerino, un pane dolce-salato di influenza toscana preparato con aggiunta di rosmarino, uvetta e poco zucchero. E poi Tredozio con “e bartlaz” (il bartolaccio), preparato con una sfoglia di farina e acqua tradizionalmente ripiena di patate lessate, condite con pancetta sfrigolata in padella, con poco rosmarino e a volte cipolla, i comuni dell’Alta Val Bidente con il Raviggiolo, storico formaggio ricordato dall’Artusi come ingrediente base per i “cappelletti all’uso di Romagna” e Galeata con la tipica guancia di maiale, la “gota”, di forma triangolare.



Forlì Con 273 scalini sali sul cielo della città


Campanili mozzafiato, chiostri misteriosi, amene chiese di campagna. Dura lo spazio di un week end questo tour inconsueto a Forlì. L’antica città romana – Forum Livii - è una delle tappe più interessanti lungo la via Emilia.
Se siete appena arrivati cominciate la visita dal Campanile di San Mercuriale, in Piazza Saffi. Gigantesco. Altissimo, oltre 70 metri (è tra le torri campanarie più alte d'Italia). Per costruirlo nel 1173 furono usati 530.000 mattoni e circa 650 metri cubi di malta.
Invece di limitarvi ad ammirarlo o a fotografarlo, la sfida è di salire in cima. L’arrampicata dura 273 scalini e non si rivela particolarmente dura. Il consiglio è di farlo verso il tramonto, quando la città si riempie di piccole luci. Il panorama da quest’altezza è emozionante: si dominano la piazza e tutta la città. Se invece la giornata è tersa e luminosa, si può scorgere il mare. Per salire bisogna rivolgersi in parrocchia.
Una volta riscesi, si entra nell’Abbazia, che nel Medioevo offriva ospitalità ai pellegrini diretti a Roma o in Terra Santa. Uscendo sulla sinistra, troviamo il Chiostro immerso in un giardino pieno di pace. A proposito di monaci, la tappa successiva ci porta a un altro antico convento medioevale, dove ancora oggi si respira un’aria di spiritualità: il Complesso di San Domenico. Oggi questo complesso (cinque edifici adiacenti), si è trasformato in uno dei musei più interessanti in Italia: i Musei di San Domenico. Ci sono due percorsi, da una parte il Museo Archeologico e dall’altra la Pinacoteca dove, fra tanti capolavori, brilla, incantevole ed eterea, la delicatissima Ebe di Antonio Canova. Da non perdere poi una visita a Palazzo Romagnoli, che ospita la Collezione Verzocchi di dipinti del ‘900 italiano dedicati al tema del lavoro, con capolavori di Emilio Vedova, De Chirico, Depero e tanti altri. Infine ecco un gioiello che rimane fuori dai circuiti turistici: il Santuario di Fornò. A circa cinque chilometri dalla città (località Ronco), circondato dalla campagna, poco lontano da un piccolo, spunta una costruzione singolare a pianta circolare. E’ il monumentale Santuario di Fornò dedicato alla Vergine.
La pianta circolare misura 34 metri di diametro. Il Santuario, dunque, va annoverato fra le più grandi chiese circolari d'Italia. Un’iscrizione nel fregio esterno ricorda il suo fondatore: Pietro Bianco di Durazzo. La storia racconta che l’uno dopo una vita di peccato e male azioni, si ritirasse a vita di preghiera e ardore mistico in questa campagna fino a diventare una guida spirituale. Poco lontano dal Santuario c'è una quercia secolare che secondo la leggenda ha più di mille anni e anch’essa una parte preziosa di questo affascinatene paesaggio lungo la via Emilia.

DA NON PERDERE
Il Campanile di San Mercuriale
Il Complesso dei Musei di San Domenico
La Ebe di Canova
La passeggiata dei monumenti neoclassici
Palazzo Romagnoli e la Collezione Verzocchi
La piadina tipica forlivese


Bertinoro città del vino


La cultura del vino è di casa a Bertinoro. Per averne conferma basta guardare il panorama circostante,
con i filari di vite che corrono lungo le colline e che trovano qui un habitat ideale, grazie anche alla
presenza dello Spungone, la particolare roccia nata dalla barriera corallina presente in questa zona circa
3 milioni di anni fa. I preziosi elementi fossili dello Spungone, infatti, donano unicità e carattere al
terroir di Bertinoro, conferendo ai vini mineralità, colore a una buona acidità e contribuendo così alla
loro eccellenza.
Oggi nel territorio di Bertinoro i vigneti si estendono per un migliaio di ettari: i principali vitigni che qui
trovano casa sono naturalmente, il Sangiovese e l’Albana, ma ci sono anche il Bombino Bianco e il
Terrano che in Romagna danno origine rispettivamente al Pagadebit e alla Cagnina dolce.
 Per degustarli, per farseli ‘raccontare’ o acquistarli, niente di meglio che rivolgersi a una delle numerose
cantine bertinoresi collocate lungo la Strada dei Vini e dei Sapori dei colli di Forlì-Cesena. Oppure, ci
si può concedere una sosta in uno dei tanti locali che punteggiano il centro storico del borgo, dove i
vini del territorio accompagnano le specialità gastronomiche della tradizione romagnola.

Il Monumento al Vignaiuolo
Che la cultura enologica, in tutte le sue forme, sia importante e venga vissuta con orgoglio e passione lo
si capisce subito arrivando in paese. Ad accogliere i visitatori, infatti, c’è il Monumento al Vignaiuolo,
opera bronzea dello scultore Mario Bertozzi. Il monumento è stato inaugurato nel 1976 e ogni anno,
durante la Festa dell’Ospitalità (prima domenica di settembre), ai suoi piedi si svolge il rito del
Vignaiolo nuovo, con la consegna di una pergamena a un vitivinicoltore che nel corso dell'anno ha
intrapreso questa attività per la prima volta o in modo nuovo.
A pochi, passi dal Monumento, nella chiesa di San Rocco, invece, è custodita la statua di Sant’Eurosia,
protettrice dei vignaioli.

La Strada della Vendemmia
Da Largo Cairoli, imboccando via Santissima Trinità (non percorribile in auto), si raggiunge
velocemente la Strada della Vendemmia, uno stradello di un centinaio di metri dove sette pannelli,
firmati da altrettanti pittori locali, illustrano i passaggi salienti della vendemmia.
Sempre in centro storico (lungo via Delle Mura) è stata allestita allo stesso modo la Strada dei mestieri
dimenticati, con sei dipinti dedicati alle antiche attività svolte dagli abitanti di Bertinoro.
 
La Campana dell’Albana
Passeggiando fra le stradine acciottolate, infine si arriva in piazza della Libertà, con l’inconfondibile
Colonna delle anella e la splendida balconata aperta verso la pianura romagnola. Proprio affacciandosi
dalla balaustra della piazza si vede, subito sotto, la Campana dell’Albana con la quale si è voluto
celebrare il riconoscimento della Docg all’Albana di Romagna, arrivato nel 1987. Firmata dall’artista
Guerrino Bardeggia, che la completò nel 1989, la campana in bronzo è decorata con bassorilievi che
ritraggono i vari momenti della vendemmia. Inizialmente fu posta nella  Torre dell'Orologio , accanto al
Comune, ma nel 1994 si decise di spostarla nell’attuale collocazione per consentire a tutti di ammirarne
le decorazioni. Una volta all'anno,  i suoi rintocchi danno l'annuncio dell'inizio della raccolta dell'uva.

La Riserva Storica del Sangiovese
Vicino alla Campana dell’Albana si trova la sede della Riserva storica, attualmente ospitata nei locali
attigui all’Ufficio turistico di Bertinoro.
Si tratta di una sorta di grande archivio del vino dove, a partire dal 2010, vengono conservate le migliori
produzioni romagnole del Sangiovese che meglio rappresentano le diverse caratteristiche del territorio.
Obiettivo: preservare nel tempo le bottiglie migliori, quelle da ricordare e studiare negli anni a venire.


Nelle terre del Triathlon


Sulle orme degli ‘atleti di ferro’
Da alcuni anni la Romagna fa da cornice all’edizione italiana dell’Iron Man, l’estenuante gara che
prevede 3,8 km di nuoto, 180 km di bici e 42 km di corsa da coprire consecutivamente entro un
massimo di 16 ore.
Per sentirsi (almeno un po’) ‘atleti di ferro’, si può seguire il percorso della prova ciclistica
dell’Ironman. Si tratta di un itinerario di media difficoltà, lungo una quarantina di chilometri, che
parte da Pinarella per concludersi a Bertinoro: i concorrenti dell’Ironman lo ripetono più volte in
entrambe le direzioni fino a percorrere, complessivamente, 180 km (che si aggiungono ai 3,8 km di
nuoto e ai 42 km di corsa), ma per i ciclisti amatoriali può essere piacevole anche l’ itinerario
semplice, in gran parte pianeggiante; si sale solo nell’ultima parte, coprendo un dislivello di 256
metri e una pendenza massima dell’11%.
E una volta arrivati a Bertinoro si può proseguire a pedalare nella Romagna dello Spungone fino a
raggiungere Castrocaro.

Da Pinarella a Santa Maria Nuova
Partendo dalla pineta di Pinarella si percorre il centro abitato fino ad arrivare alla Statale 16, che
va superata per imboccare via Bollana/Sp 71 bis. Dopo circa 3 km si lascia la strada provinciale per
dirigersi verso la località di Villa Inferno (nome inquietante per una placida borgata agricola a due
passi dalle saline di Cervia). Da qui il percorso si sviluppa attraverso le strade della campagna
romagnola: prima tappa, lunga circa 8 km, porta alle frazioni gemelle di Castiglione di Cervia e
Castiglione di Ravenna, separate dal fiume Savio, ma unite da due ponti. Risalendo idealmente il
corso fluviale per circa 5 km, si superano le località di Mensa Matellica e Cannuzzo, per poi deviare
verso destra, alla volta di Santa Maria Nuova Spallicci, frazione di pianura del Comune di Bertinoro.

Da Forlimpopoli a Bertinoro
Pedalando verso ovest fra le ordinate maglie poderali, dopo circa 6 km si raggiunge Forlimpopoli,
celebre per aver dato i natali a Pellegrino Artusi, padre della gastronomia italiana. Attraversata
dalla via Emilia, Forlimpopoli è collocata ai piedi delle colline e da qui si parte per affrontare la
parte più impegnativa del percorso, quella che porta in cima al colle di Bertinoro. Il tragitto è breve
(circa 7 km), il panorama è splendido, fra dolci colline e vigneti, ma la salita è impegnativa, con una
pendenza che arriva fino all’11%. A ripagare dalle fatiche chi arriva in cima, la straordinaria vista
sulla pianura romagnola e il mare che si gode dalla piazza principale di Bertinoro, giustamente
definita ‘il balcone di Romagna’.

Sulla stessa piazza si trova la Colonna delle Anella, simbolo dell’ospitalità bertinorese: nel
Medioevo ogni anello era assegnato a una famiglia, e il forestiero che, arrivando, vi legava il
cavallo era ospitato da essa; questa antica tradizione rivive ancora oggi nella Festa dell’Ospitalità,
che si celebra la prima domenica di settembre e che vede i visitatori ospitati a pranzo nelle case
bertinoresi. Con un ulteriore strappo si può raggiungere il Museo Interreligioso, dedicato alle tre
grandi religioni monoteiste, ospitato all’interno della millenaria rocca che domina il paese.
Proseguendo nella Romagna dello Spungone: da Bertinoro a Fratta Terme.
Per chi avesse ancora energia e voglia di mettersi alla prova, da Bertinoro si può proseguire,
inoltrandosi nella Romagna dello Spungone. Il percorso, lungo una cinquantina di km, si presenta
molto vario e piuttosto impegnativo, con un susseguirsi di salite e discese e un dislivello
complessivo di 1240 metri.

Da Bertinoro si scende in direzione di Fratta Terme, toccando il secentesco santuario di
Casticciano. La chiesa, che si erge su un punto particolarmente panoramico, è stata costruita per
ricordare il miracolo ottenuto il 2 luglio 1612 da Agnese Dalle Tombe, gentildonna meldolese, che
riacquistò la vista dopo aver pregato davanti all’immagine della Madonna delle Grazie dipinta da
maestro Bentivoglio e allora collocata in un'antica celletta.
Oggi il santuario è aperto solo durante le celebrazioni del miracolo, ma vicino ad esso si può
visitare la Via del Rosario realizzata dallo scultore faentino Gaetano Dal Monte.
Dopo pochi chilometri si approda a Fratta Terme, con le sue acque benefiche provenienti da ben
11 fonti e il suo grande parco termale lambito dal Rio Salso.

Meldola – Predappio - Castrocaro
Tappa successiva è Meldola, in cui si entra attraversando il Ponte dei Veneziani, costruito nel 1508
durante la dominazione della Serenissima. A dominare l’elegante centro di impronta ottocentesca,
c’è la possente Rocca costruita sul “sasso” di Spungone, una delle più grandi dell’intera Romagna.
Da qui ci si muove verso la Rocca delle Caminate, oggi sede universitaria, da cui si può dominare
gran parte del territorio romagnolo.
L’itinerario tocca poi Predappio, inconfondibile per i suoi edifici in stile razionalista; accanto alle
edificazioni del ventennio. La strada poi si inerpica fino a Predappio Alta, borgo medievale
arroccato intorno al suo possente castello.

Ultima tappa del percorso è Castrocaro, con le sue sorgenti termali già rinomate al tempo dei
Romani. Il compendio termale, che offre trattamenti terapeutici e percorsi benessere
all’avanguardia, è un gioiellino dello stile Liberty. Il percorso continua con la Fortezza di
Castrocaro, i cui sotterranei sono scavati nello Spungone, per poi concludersi nella città – fortezza
rinascimentale di Terra del Sole.


Itinerario Dantesco nella Romagna dello Spungone


Qualcuno ha definito Dante “il primo turista della Romagna”, e sicuramente il Sommo Poeta ha
conosciuto bene questo territorio, dove ha trascorso buona parte del suo esilio: lo testimoniano i
numerosi riferimenti presenti nella Commedia a luoghi, personaggi, vicende romagnole. E tracce
dantesche si incontrano, naturalmente, anche nella Romagna dello Spungone.

Polenta
Il nostro viaggio comincia da Polenta, piccola frazione del Comune di Bertinoro, luogo d’origine della
famiglia Da Polenta, che offrì a Dante protezione nel suo ultimo rifugio ravennate. Qui si può visitare
la Pieve di San Donato, risalente al X secolo, che al suo interno conserva ancora molte parti della
costruzione originaria (in particolare, colonne e capitelli). La sua fama è legata all’ode che le dedicò
Giosuè Carducci, in cui si chiede "orse qui Dante inginocchiossi". Ed è veramente possibile che
l’autore della Commedia abbia frequentato questo luogo, durante la sua permanenza ravennate presso
Guido da Polenta. Così come è possibile che qui abbia pregato anche Francesca da Polenta,
appartenente alla stessa famiglia, e celeberrima protagonista insieme all’amante Paolo Malatesta del V
Canto dell’Inferno.
Ogni anno la Pieve ospita cicli di letture dantesche.

Bertinoro
Dante cita Bertinoro nel XIV Canto del Purgatorio, quando incontra i romagnoli Guido del Duca (che
fu giudice a Bertinoro) e Rinieri da Calboli, con cui parla della corruzione morale che affligge la loro
terra:
O Bretinoro, ché non fuggi via,
poi che gita se n’è la tua famiglia
e molta gente per non esser ria?
(Purgatorio, Canto XIV, vv. 112-114)

Poco prima, rimpiangendo i tempi andati e ricordando gli antichi romagnoli virtuosi, il poeta nomina
anche il bertinorese Arrigo Mainardi, che ha lasciato una traccia importante nella storia della cittadina.
Secondo la tradizione, infatti, furono proprio Arrigo Mainardi e Guido del Duca, nel XIII secolo, a far
costruire la Colonna delle Anella, ancora oggi monumento simbolo di Bertinoro.
A breve distanza dalla Colonna, sorge ancora oggi l’imponente Palazzo Mainardi, sulla cui facciata è
visibile lo stemma della famiglia dalle tre mani.

Castrocaro
Castrocaro fu a lungo la capitale del potere mediceo in Romagna e viene citata da Dante nello stesso
XIV canto del Purgatorio in cui si parla di Bertinoro, denunciando la degenerazione dei costumi:
Ben fa Bagnacaval, che non rifiglia; 
e mal fa Castrocaro, e peggio Conio, 
che di figliar tai conti più s’impiglia.   
(Purgatorio, Canto XIV, vv. 115-117)

I veementi versi oggi campeggiano sul muro della chiesa romanica di San Nicolò (decorata all’interno
con begli affreschi di scuola marchigiana del XV secolo). La chiesa si trova nel cuore del borgo
medievale di Castrocato, dove sorgono anche il Palazzo dei Capitani e il Palazzo del Bargello. A
dominare dall’alto, l’imponente fortezza medievale.
Ma c’è un altro legame, più sottile, con il ghibellin fuggiasco e la sua Commedia: nella seconda metà del
XIII secolo, infatti, Castrocaro fu un possedimento Gianciotto Malatesta, il marito assassino di
Francesca da Polenta, protagonista del V canto dell’Inferno.

Forlì
L’ideale percorso sulle tracce di Dante in Romagna non può tralasciare Forlì, dove il poeta soggiornò a
più riprese, fin dall’inizio del suo esilio quando, nel 1303, fu ospite di Scarpetta degli Ordelaffi, in veste
di segretario. Lo ricorda una lapide posta su Palazzo Albicini (dove all’epoca si estendeva la Caxa
Grande degli Ordelaffi). E sono vari i passi della Divina Commedia in cui si parla delle vicende
forlivesi. Nel Canto XXVII del’Inferno si fa riferimento al “sanguinoso mucchio”, cioè la cruenta battaglia
fra i ghibellini forlivesi e un esercito di francesi inviato dal Papa: la citazione compare nella targa affissa
sul campanile di San Mercuriale in Piazza Saffi.
Poco distante sorge il Palazzo dei Calboli, casata a cui apparteneva Rinieri, incontrato da Dante nel
Canto XIV del Purgatorio: anche qui una targa riporta i versi del poema.
E Forlì compare ancora nel Canto XVI dell’Inferno, in una similitudine che paragona la cascata
dell’infernale Flegetonte a quella dell’Acquacheta: Dante, preciso come sempre, ricorda che il fiume si
chiama così solo in alto, ma quando arriva a Forlì prende il nome di Montone.

Ravenna
E’ Ravenna – e non poteva essere diversamente – l’ultima tappa dell’itinerario. Qui Dante visse gli
ultimi anni, sotto la protezione di Guido da Polenta (probabilmente in quella che oggi è chiamata Casa
Scarabigoli, come ricorda una targa sulla facciata); qui fu celebrato il suo funerale nella Basilica di San
Francesco, detta “chiesa di Dante”; qui c’è la sua tomba, a pochi passi dalla quale si trovano il Museo e
la Biblioteca del Centro Dantesco.
E, naturalmente, anche Ravenna, i suoi personaggi e i suoi luoghi sono più volte citati nella Commedia.
Ricordiamo, fra tutti, la Pineta di Classe, a cui si fa riferimento nella descrizione del Paradiso terrestre:
ma con piena letizia l’ore prime,
cantando, ricevieno intra le foglie,
che tenevan bordone a le sue rime,
tal qual di ramo in ramo si raccoglie
per la pineta in su ‘l lito di Chiassi,
quand’Eolo scilocco fuor discioglie.
(Pg. XXVIII, 16-21)

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