Siamo nella Bassa Romagna, anticamente denominata “Padusa”, un territorio che, prima delle bonifiche dell’ultimo secolo, era per gran parte acquitrinoso e disseminato di zone umide, stagni, aree deltizie e aree retrodunali.
Nella frazione di Villanova di Bagnacavallo sorge l’Ecomuseo della civiltà palustre, istituzione fortemente voluta dalle amministrazioni locali per conservare e tramandare la ricchezza culturale di questo particolare ambiente. Un tempo non troppo lontano qui, infatti, si viveva e si lavorava grazie alle erbe palustri.
Un’intera economia era fondata sull’utilizzo e la raccolta di queste erbe spontanee. Un’attività peraltro in armonia con l’ambiente: l’utilizzo delle erbe, gli sfalci stagionali e la pratica della sramatura permettevano infatti il rinnovarsi dell’ecosistema vallivo e ne favorivano lo sviluppo.
Le costruzioni rurali in canna di palude si inserivano perfettamente nell’ambiente circostante, alla stregua di tane di animali e nidi di uccelli.
Nel parco del museo sono state ricostruite fedelmente le più importanti tipologie di capanne e all’interno del museo è possibile osservare oggetti dagli usi più diversi che venivano prodotti rigorosamente con erbe palustri. Sorprendente è la raccolta di cesti di ogni tipo, gabbie e fiaschi. A proposito di questi ultimi, ricordiamo che oggi il vino per eccellenza di Bagnacavallo è il Burson: un vino rosso e robusto, ricavato da un vitigno autoctono, recuperato in queste zone agli inizi del ‘900 dalla famiglia Longanesi, molto zuccherino e resistente agli attacchi dei parassiti.
