Il percorso espositivo dedicato all”oro rosso” è ospitato in un antico complesso monastico.
L'epopea del pomodoro rivive nella Corte di Giarola
Il Museo del Pomodoro ha sede dal 2009 nell’antica Corte di Giarola: un luogo strategico per la coltivazione e la trasformazione industriale del pomodoro. La sede è di grande prestigio: l’antica Corte di Giarola, che ospita anche la sede del Parco regionale del Taro. La scelta di localizzare qui il museo non è casuale, ma legata al ruolo strategico che riveste questo luogo nell’ambito delle zone di coltivazione del pomodoro e del distretto della trasformazione industriale. Ci troviamo sulla strada pedemontana che, provenendo dalla Val Baganza e da Talignano, conduce a Medesano, Noceto e Borgo San Donnino. Le prime notizie di Giarola risalgono all’undicesimo secolo, quando divenne proprietà del monastero femminile di San Paolo e sede di un piccolo nucleo monastico intorno al quale sorsero poi una cappella, stalle, abitazioni, un mulino e un caseificio. Inserita nel percorso della Via Francigena, la Corte era anche meta abituale di pellegrini.
All’inizio dell’Ottocento le proprietà terriere del complesso monastico vennero confiscate dagli occupanti francesi, incluse nella cosiddetta Lista Civile e affittate a privati che le facevano coltivare da braccianti. Bisogna però aspettare il secondo decennio del Novecento per trovare testimonianze sulla conversione di Giarola in “Azienda agricola industriale - conserve alimentari”, dove venivano prodotti ed esportati formaggio Parmigiano-Reggiano e “Super concentrato di pomodoro marca Perla”, la cui etichetta era contrassegnata da un’ostrica aperta all’interno della quale brillava appunto una perla. La fabbrica di conserva di pomodoro di Giarola si inseriva in un sistema di stabilimenti di piccola e media dimensione posti lungo l’asse della strada statale della Spezia, della ferrovia e del fiume Taro. Accanto alla fabbrica di conserve funzionava anche il caseificio con annesso allevamento di suini.
Nel Maggio1999 sono stati inaugurati gli uffici dell’antico complesso monastico. Da allora ad oggi un continuo e progressivo restauro ha permesso di recuperare molti spazi adibiti a diverse funzioni: il Centro visite con il percorso “Sotto il segno dell’acqua”, la Sala Auditorium, il Centro di educazione ambientale, l’Infopoint sui percorsi enogastronomici, il Laboratorio storico sulla Resistenza, il teatro, inaugurato in settembre 2007, nel quale si è svolta la prima stagione teatrale 2007-2008, il ristorante per l’accoglienza turistica e, ovviamente, lo spazio museale dedicato al pomodoro. Tra le tante attività che qui si svolgono, anche in collaborazione con la Strada del prosciutto e dei vini dei Colli di Parma, si segnala la Fiera della biodiversità.
Un percorso tra gastronomia e storia della tecnologia
Il percorso di visita inizia con un approfondimento dell’ortaggio da un punto di vista botanico, storico, geografico e agronomico, sia come coltivazione orticola, sia come prodotto industriale. Fino al 1880 la lavorazione del pomodoro avveniva a livello casalingo. In quel tempo l’uso dell’ortaggio in gastronomia non era quasi mai associato al condimento della pasta, che veniva piuttosto condita con il lardo. In coincidenza con la sostituzione della razza suina Nera Parmigiana con l’inglese Large White, cambiano però le abitudini alimentari anche delle zone contadine. La Large White ha infatti un grasso troppo liquido e poco consistente, non adatto alla pasta, che comincia quindi ad essere sempre più spesso condita con il pomodoro. Ecco quindi che prende piede la coltivazione dell’”oro rosso”. Nel 1907 in quest’area le fabbriche conserviere erano più di 100 e la necessità di macchinari industriali cresceva di pari passo. L’industria della conserva di pomodoro ha rappresentato un importante volano di crescita economica per il territorio. Le tecnologie impiegate e le macchine industriali sono spesso frutto di modifiche apportate a quelle utilizzate nel settore lattiero-caseario. Le due tecnologie, infatti, sono andate per molto tempo di pari passo. Come ad esempio le boules, contenitori per bollire il pomodoro che negli anni ’30 erano in rame e funzionavano a carbone, con movimentazione a cinghia. Ne sono due begli esempi la macchina di Cecchini e Quadrini di Milano e la boules di Navasconi, costruita a Cremona nel 1946, con una capacità di lavorazione di 800 chilogrammi di succo di pomodoro all’ora. Tra le industrie più importanti del parmense ricordiamo la Luciani: il museo ospiterà ad esempio una loro “sgraffatrice” per aprire le confezioni da 3-5 chilogrammi di pomodoro da rilavorare e una “bacinella di cottura” risalente al ’48. Della ditta Ghizzoni Dante di Felino (PR), ecco la “brovatrice” del ’55, rivestita completamente in legno di rovere come isolante di calore, utilizzata per scaldare a 90 gradi il prodotto triturato prima di essere mandato alla “passatrice”. Il museo ospiterà nelle sue sale una linea completa di lavorazione del pomodoro, consentendo così anche ai visitatori meno esperti di comprenderne a pieno il ciclo industriale. Il pomodoro, introdotto dalle Americhe come pianta ornamentale e le cui bacche sono state ritenute per molto tempo un frutto velenoso, è oggi un pilastro della nostra cucina quotidiana e merita giustamente un degno luogo di mostra.
